Fare impresa in Italia: il problema della bassa produttività

crescita italia 2019

Quali sono i motivi della bassa crescita italiana?

Se l’Italia non cresce, non è solo per l’enorme debito pubblico. L’altro grande problema che attanaglia il nostro Paese è la bassa produttività, cioè la scarsa capacità di crescere.

Non è il debito, dunque, il vero “male” che sta uccidendo l’Italia, ma la mancata crescita economica: basterebbe che il nostro PIL crescesse ai ritmi di quello dei paesi nordeuropei e si avrebbe una diminuzione del debito. Invece, stiamo progressivamente peggiorando. E ce lo dicono i dati: con uno scarso +0,2% siamo gli ultimi nella UE per tasso di crescita del PIL.  

L’evoluzione della produttività

In Italia la stagnazione è evidente soprattutto se si considera l’evoluzione della produttività, intesa come il prodotto per ciascuna ora lavorata. Tale valore è fermo dall’inizio degli anni 2000. Una produttività bassa contribuisce a mantere alto il numero delle ore lavorate e basse le retribuzioni. 

Bassa occupazione, soprattutto femminile

Tra le debolezze strutturali del nostro Paese rientra, ad esempio, la bassa occupazione, soprattutto femminile. Pochissime sono state le iniziative da parte di parlamentari per colmare questo enorme ritardo. Altri elementi strutturali di debolezza riguardano la bassissima percentuale di persone in età lavorativa con una laurea.

Difficoltà nel fare impresa: le peculiarità italiane

La bassa crescita del nostro Paese è legata a quattro fattori principali.

Il primo riguarda la difficoltà nel fare impresa: rispetto al 2018, l’Italia ha perso cinque posizioni nella classifica mondiale del rapporto annuale “Doing Business”, redatto ogni anno dalla Banca Mondiale, scendendo dal 46° al 51° posto della classifica.

Questa brusca discesa è dovuta a molti fattori. Basti pensare che il nostro Paese si piazza 118° per le tasse e in 112° posizione per le possibilità di accesso a credito. Va male anche per la gestione dei permessi di costruzione (104° posto) e il rispetto dei contratti (111°). 

Ad ogni modo, tutti i principali Stati dell’Unione Europea precedono in classifica il nostro Paese: la Danimarca è seconda, la Svezia 12ma, la Germania 24ma, la Spagna 30ma e il Portogallo 34°.

Ma la “difficoltà di fare impresa” comprende altre peculiarità tutte italiane: ad esempio, la frammentazione del tessuto produttivo con un’eccessiva presenza di piccole e medie imprese, che non sono in grado di investire in innovazione (anche se organizzate nei distretti, riescono ad essere più competitive). Un altro aspetto riguarda, inoltre, l’orientamento della specializzazione settoriale verso produzioni tradizionali a basso contenuto tecnologico, la proprietà familiare delle imprese. E poi: clientelismo, corruzione, inefficienza del sistema giudiziario e del settore pubblico.

Basso livello di competenze

L’Italia è tra gli ultimi Paesi per percentuali di laureati. Ma un altro dato allarmante riguarda il “disallineamento” tra i percorsi di studio scelti dai giovani e le esigenze del mercato del lavoro: il disallineamento emerge in particolare nei confronti della Germania, dove la disoccupazione tra i laureati nella fascia d’età 25-39 anni è stata del 2-4%, mentre quella degli italiani variava tra l’8 e il 13%. Questo perché in Germania ci sono maggiormente laureati in informatica, ingegneria, economia e management, mentre i laureati italiani provengono di più da discipline artistiche e umanistiche.

La domanda, dunque, non riesce a incontrare l’offerta di lavoro, e i lavoratori, spesso, sono sovra-qualificati o sotto-qualificati rispetto alle posizioni aperte.

L’Italia, poi, è caratterizzata da bassi livelli salariali, che spingono molti brillanti laureati ad espatriare, rendendo ancora più difficile reperire le risorse professionali indispensabili alla crescita della nostra economia, con conseguenze negative sulla competitività del nostro Paese.

Divario Nord-Sud e carenze strutturali

I dati Ocse sulla produttività mettono in evidenza l’enorme divario che esiste tra il Nord e il Sud del Paese: con una media Ue pari a 100, la Lombardia registra il maggior indice di valore aggiunto per ora lavorata (119,6), seguita dalle Province Autonome di Bolzano (114,9) e Trento (113,4). A seguire nella classifica il Lazio (111,2), Liguria (110,1), Emilia-Romagna (109,7), Valle d’Aosta (106,8), Veneto (106,1) e Piemonte (105,1). Ultima tra le regioni italiane, invece, troviamo la Calabria, con un indice di 77,1.

Per quanto riguarda invece il divario occupazionale, tra Nord e Sud c’è una differenza occupazionale di ormai 20 punti percentuali, pari a quello che esiste tra Grecia e Germania, o Turchia e Norvegia.

Spesa in ricerca e sviluppo e ritardi sul fronte della tecnologia

La spesa in ricerca e sviluppo nel nostro Paese continua a essere inferiore a quella delle maggiori economie europee (circa l’1,3% del PIL contro la media al 2% per l’UE). Il 60% di tale spesa si concentra in sole quattro regioni: Lombardia, Lazio, Piemonte ed Emilia-Romagna.

Sul fronte tecnologico, il “Desi”, Digital Economy and Society Index, redatto ogni anno dalla Commissione europea, ci colloca in quartultima posizione (25° su 28) e addirittura penultimi se si considera l’utilizzo di internet e ultimi per la lettura di notizie online.