Covid-19: chiuderemo l’anno peggio del 2020?

Un maggior numero di ricoverati in terapia intensiva, continuano a crescere i casi giornalieri, mentre l’indice di positività resta costante, facendo registrare centinaia di decessi quotidiani. Il tempo passa ma la pandemia di covid-19 sembra non diminuire affatto. Le misure governative, coprifuoco, lockdown e chiusure delle attività, sono dunque servite? Resta molto difficile rispondere ma i numeri sembrano condannare le scelte effettuate. Stiamo meglio o stiamo peggio di prima, da quando nella fatidica giornata del 18 maggio del 2020 ci furono le prime timide riaperture a seguito di due mesi di chiusura forzata del paese Italia, imitato poi con più o mena convinzione dagli altri paesi europei, vedi la Francia, l’Inghilterra o la Svezia che è andata in direzione contraria.

Stiamo meglio o peggio rispetto a un anno fa?

Dopo tanta paura milioni di italiani sono timidamente tornati a una liberà vigilata regolata da un sistema cromatico. In questo modo si è tornati ad andare al bar e al ristorante, dopo le chiusure rosse, le zone gialle, le regioni bianche e infine il verde del green pass. Esaminando i numeri le cose però non vanno molto meglio matematica: i nuovi casi giornalieri di positivi al Covid sono sempre in aumento, così come i morti e i ricoverati in terapia intensiva. Ogni voce riporta, purtroppo quasi sempre un aumento. dopo un anno, viviamo situazioni simili, migliori per certi aspetti, vista anche la campagna vaccinale, ma peggiori per altri, basti pensare alla crisi aziendale in cui riversa il nostro paese.

Per quanto riguarda qualche mese, con la campagna di vaccinazione già iniziate, ad aprile le terapie intensive facevano registrare ancora un aumento del 32.8%, come comunicato dal professore ordinario di Statistica Economica Giuseppe Arabia sulle pagine de Il Giornale. Il professore di Economia dell’ateneo romano della Cattolica illustrava come i posti occupati nei reparti di terapia intensiva, paragonando i due anni di pandemia di covid-19, erano 3.032 al secondo anno contro i 2.282 del primo. Il tasso di positività restava invece uguale all’anno scorso al 4,7%, mentre i decessi erano 330 contro i 409 dell’anno precedente. Il tasso di positività a oggi è ancora allarmante e, più o meno, sembra di vivere la stessa situazione.

Le misure restrittive hanno funzionato?

Dopo un anno di dure misure anti covid-19, forse, ci si aspettavano ben altri numeri. Il duro lockdown della prima ondata, che resterà nella memoria e nella psiche degli italiani per molto tempo, aveva migliorato la situazione. Certo, il numero dei tamponi effettuati era minore ma la positiva si attestava intorno all’1%, traguardo che oggi sembra impensabile visto che si viaggia intorno al 5-6%. In altre parole un terzo della nostra popolazione non dovrebbe più essere suscettibile perché ha già contratto il virus o perché è stata vaccinata con almeno una dose ma 30 milioni restano ancora suscettibili e per questo motivo l’infezione sembra correre molto di più rispetto all’anno scorso, aggiungendo anche i rischi della variante inglese, molto più contagiosa

Attualmente i numeri riguardanti il fattore della positività restano ancora abbastanza alti e questo è l’elemento principale che sembra essere il più preoccupante al momento. Infatti, paragonando i due periodi della pandemia in corso, il primo e il secondo anno, a situazione è ancora molto, troppo dinamica. Attualmente il numero d’italiani immunizzato è in un aumento sia perché cresce il numero delle vaccinazioni ma anche perché, come già visto, molti italiani sono già entrati in contatto con il virus in forme diverse, gravi, leggere o asintomatiche, cioè senza sintomi, Le vaccinazioni continuano a procedere, a ritmi diversi regione per regione, tanto che questo processo d’immunizzazione continua ad andare avanti con velocità inferiori rispetto a quelle programmate.

Le riaperture al cospetto della Delta

L’Italia ha vissuto uno dei suoi periodi più particolari nel recente passato fatto di mesi di chiusure obbligate, mezze riaperture a seconda di parametri discrezionali a cui sono seguite chiusure e zone rosse, ma i lockdown hanno avito gli effetti desiderati? Sempre secondo il professor Arbia, quest’anno non sembra differenziarsi molto dal precedente, vuoi perché in entrambi i casi non c’erano i numeri per le riaperture definitive e una maggiore cautela sarebbe stata più saggia ma ci sono sicuramente altri elementi da prendere in considerazione come quello delle varianti. Bisogna poi analizzare il fatto che ad un alto numero di terapie intensive corrisponda, fortunatamente, un minore numero di decessi, forse perché i ricoveri riguardano ora persone più giovani e meno fragili rispetto al passato.

Le riaperture siano sono state decisioni di natura politica. Il paese ha riaperto anche se i dati non portavano in quella direzione, e queste scelte hanno limitato l’effetto positivo avuto dalle chiusure rigide dei mesi precedenti, almeno per quanto riguarda il numero dei positivi. Bisogna inoltre aggiunger che a partire dal mese di febbraio è arrivata anche la variante “delta” del covid-19, quella di origine britannica, che a pari condizioni ha un numero maggiore di contagi. Mettendo da parte le considerazioni sui numeri l’Italia, e non solo, si è trovata in fase di riapertura con una variante più contagiosa ed è vero che le vecchie misure adottate sul virus originale risultano essere meno efficaci sulle sue mutazioni.

I numeri dei fallimenti legati al covid-19

Ritornando a esaminare i dati ritenuti chiari e inequivocabili possiamo vedere come la dinamica dei fallimenti si sia distribuita in maniera omogenea tra i vari settori di attività. Solamente le forniture di energia hanno fatto segnalare un importante incremento pari a un segno più del 60%, mentre le attività immobiliari hanno fatto registrare un calo pari al 33,1% dei fallimenti. Crollano invece i settori delle costruzioni e del turismo mentre hanno retto abbastanza bene i settori legati al mondo dell’agricoltura e a quello dell’edilizia. Passando al numero di imprese fallite per 1.000 registrate è la regione Lombardia a guidare questa triste classifica con un 1,01%, seguita dal Lazio e dal Molise appaiate con un 0,97%.